Forum

Bellezza Radicale: ...
 
Condividi:
Notifiche
Cancella tutti

Bellezza Radicale: che fare, con urgenza e senza fretta

Filippo Vignali
(@filippo-vignali)
Active Member Registered
Registrato: 2 anni fa
Post: 7
Topic starter  

Per individuare una battaglia, bisogna elaborare una visione, se la elaboriamo da soli però siamo presuntuosi, financo velleitari, eppero’ se non lo facciamo siamo poco pragmatici, non dimostriamo la tensione verso l’obiettivo da sempre crinale fra i radicali e tutti gli altri partiti parolai, però se passiamo dalla concretezza delle azioni dobbiamo rispettare le liturgie stabilite da qualcuno, altrimenti siamo in cerca di visibilità, malati di protagonismo e poi chissà cosa si cela dietro tutto quell’affannarsi apparentemente mosso da meri slanci ideali.

Il lavoro sul linguaggio serve, altroché, come quello sulle relazioni che deve auspicabilmente portare al superamento di vecchi riflessi (ad esempio il
voler stabilire chi è più radicale e chi lo è meno) che hanno iniziato a portarci dove siamo ora già a Pannella vivo, come serve il farsi domande (siamo uniti a chi a in testa i nostri stessi rovelli, prescindendo dalle risposte, e distanti mille galassie dagli indifferenti e dai cinici) e il dare contribuiti per arrivare ad una idea di Stato e di società che non può essere la stessa di vent’anni fa.

Se queste cose non le pratichiamo fra di noi, a mio avviso facciamo fatica a chiederle agli altri.

E se lo facciamo -Gandhi ci insegna- è già una piccola rivoluzione, una minuscola fiamma, forse un fuoco fatuo o la luce lontana di una stella morta, magari la scintilla che non attira nemmeno la più illusa delle falene, o invece riaccende piano piano un fuoco che sembrava irrimediabilmente disperso in tanti tizzoni.


   
admin reacted
RispondiCitazione
Paola Cossu
(@paola-cossu)
Trusted Member Registered
Registrato: 2 anni fa
Post: 63
 

@filippo-vignali io piango....piango perché a me le tue parole arrivano dritte al cuore e non mi verrebbe MAI in testa di travisare il significato di parole così cristalline!(ancora una volta il cristallo!)...Non dobbiamo perdere la pazienza.Continuare a spiegare che questo progetto non può essere gestito con lo specchietto retrovisore e con i vecchi riflessi che ci hanno portato fino alla disgregazione della galassia.

Che offriremo ,senza fretta, un modello nuovo e fruibile ai più. Un antidoto all'ansia e alla rassegnazione e che ci hanno portato fino a qui.Avanti compagni ingenui.AVANTI!


   
RispondiCitazione
Filippo Vignali
(@filippo-vignali)
Active Member Registered
Registrato: 2 anni fa
Post: 7
Topic starter  
  • @paola-cossu Grazie Paola, si, sappiamo che abbiamo scelto una strada difficile, anche perché controintuitiva rispetto agli schemi della comunicazione di oggi. Non molliamo

   
RispondiCitazione
Paola Cossu
(@paola-cossu)
Trusted Member Registered
Registrato: 2 anni fa
Post: 63
 

@filippo-vignali non molliamo!!!Tre punti esclamativi😅


   
RispondiCitazione
Luciano fabris
(@luciano-fabris)
Active Member Registered
Registrato: 2 anni fa
Post: 7
 

Cerco di essere pragmatico. Io sono sempre stato radicale e in provincia di Vicenza x non dire in Veneto esistevano delle associazioni territoriale che convergevano nel partito di marco Pannella (PR, club Pannella, antiproibizionista, ecc ..). Insieme abbiamo raccolto firme referendarie e partecipato ad elezioni politiche. Con i conflitti di diversa natura i radicali si sono divisi in diversi partiti, anche x divergenze politiche, soprattutto quando il partito è diventato trasnazionale. Per personalismo, per divergenze varie alcuni soggetti radicali si sono staccati dal partito Radicale diventando di fatto soggetti autonomi. Personalmente non ho vissuto le problematiche " romane" e quindi partecipavo indifferentemente dal soggetto portitico ad alcune iniziative perchè le consideravo comunque radicali e condividevo quella iniziativa. Negli ultimi 10 anni i soggetti radicali sembrano partiti contrapposti pur avendo gli stessi ideali e tutti si riconoscono e si riconoscono nella politica che Marco Pannella ha insegnato o mostrato. Io sono rimasto comunque un radicale che dialoga e partecipa alle iniziative dei diversi soggetti. Negli ultimi referendum i tavoli organizzati da me erano composti da diverse persone che si identificavano in un partito , movimento e soggetto politico, eppure nel tavolo referendario esposte c' erano le bandiere, di tutti i soggetti della galassia radicale + Volt. Magari si arrivasse a una confederazione dei soggetti radicali x alcune battaglie, ma mi accontenterei di vedere uniti in queste battaglie. La galassia radicale unita proprio nelle azioni politiche. Il confronto politico ci distingue?  bene è una ricchezza , ma gli ideali sono gli stessi. Gianfranco nel suo libro sulla storia radicale lo spiega bene, anzi lui conclude e prende atto come invece i soggetti radicali non hanno più una visione complessiva.
Cari compagni radicali di diversa natura, il tentativo che prima facevo da solo in Veneto ora lo riscontro nel gruppo Bellezza radicale. E per fortuna che siamo molti e in tutta Italia. Vi prego relazioniamoci, beviamo un caffè assieme, confrontiamoci per unire le forze. Come dico sempre la politica  italia,  l' Europa e il Pianeta ne ha estremamente bisogno.


   
RispondiCitazione
Pier Paolo Segneri
(@pier-paolo-segneri)
Trusted Member Registered
Registrato: 2 anni fa
Post: 47
 

@luciano-fabris Bravissimo Luciano! Grande... e prendiamoci ‘sto caffè. 😀 Anche perché, quella che stiamo vivendo oggi, è forse un’occasione irripetibile per attuare e realizzare un nuovo umanesimo liberale... un percorso riformista.

Per troppo tempo, dentro e fuori il Palazzo, si sono messi al centro l'egoismo, l’affarismo, la cupidigia, l'arroganza, il sopruso, la sopraffazione, l'inganno, la prepotenza, il cinismo, la violenza... detto in una parola: il Potere. E' giunto il momento di avviare la nostra rivoluzione copernicana, la nostra rivoluzione liberale, mettendo al centro la libertà e l'amore civile, il sorriso è la consapevolezza, le idee e la capacità di realizzarle...insieme.

Perché? La risposta è semplice, ma non facile. Perché la pandemia e la paura, la crisi economica e finanziaria, che stiamo vivendo da mesi, sono la conseguenza di una più vasta crisi politica che viene da lontano e che colpisce la democrazia, lo "stato di diritto", i cittadini, la Costituzione, la libertà, i diritti umani e civili, il concetto stesso di legalità, di fraternità e quello di uguaglianza. Per uscirne, abbiamo una strada: riformare la politica. Ma non credo che potranno farlo coloro che ne sono la causa. C’è bisogno di altro. È necessario tornare all’origine stessa della politica, al suo significato.

Su queste basi ho intenzione di continuare la mia attività politica come l’ho sempre portata avanti negli ultimi 25 anni e oltre. Con onestà. Anche con onestà intellettuale. E soprattutto con dignità. 

Ecco, sento di dover rispondere e corrispondere a tale urgenza politica liberaldemocratica. Sempre nel rispetto dei miei avversari politici. A molti elettori, infatti, nessuno ha mai detto che cosa sia la politica. Lo scrivo allora io, qui, per ricordarlo anzitutto a me stesso. 


   
RispondiCitazione
Filippo Vignali
(@filippo-vignali)
Active Member Registered
Registrato: 2 anni fa
Post: 7
Topic starter  

@luciano-fabris il punto sollevato da Gianfranco Spadaccia nelle conclusioni del suo libro è centrale. Ci sono in alcuni soggetti della diaspora radicale i tentativi di elaborare una visione complessiva, ma se non torniamo a unire le forze per tornare a concepire insieme un’idea di riforma dello Stato, queste visioni a me sembrano incomplete. Lo sforzo che ci è richiesto oggi per sviscerare la complessità è enorme, e mancando il leader visionario serve ancora di più un’intelligenza collettiva.


   
RispondiCitazione
Luciano fabris
(@luciano-fabris)
Active Member Registered
Registrato: 2 anni fa
Post: 7
 

Avevo scritto questo articolo per Terra Libera, un'associazione ecologista liberale, mai pubblicata, non chiedetemi perchè. forse considerata provocatoria?

vi riporto il testo perchè sono convinto che bellezza radicale potrà apprezzare.

Vivere la vita con consapevolezza

Lo sviluppo come è stato inteso non è più una virtù.

Krishnamurti diceva che la creazione è la cosa più sacra della vita, e se avete fatto un pasticcio della vostra vita, cambiatela. Cambiatela oggi, non domani. Se non siete sicuri di volerlo fare, scopritene il motivo e siate sicuri. Se il vostro pensiero non è corretto, pensate con rettitudine, logicamente. A meno che tutto questo non sia risolto dentro di voi, non potete entrare in questo mondo della creazione.

Abbiamo creato falsa ricchezza per combattere false povertà. Di tale falsa  ricchezza si può anche perire, come di sovrappeso, sovra medicazione, surriscaldamento, ecc…Falso benessere come liberazione da supposta indigenza è la nostra malattia del secolo, nella parte industrializzata e “sviluppata” del pianeta. Tutto  è diventato fattibile ed acquistabile, ma è venuto a mancare ogni equilibrio.

Non si può più far finta di niente. Molti di noi, sono da iscriversi tra le persone che hanno tentato o tentano di fare qualcosa per migliorare il mondo. Oggi i movimenti cercano in qualche modo di ricostruire una pace tra uomini e il resto della natura. Di fronte anche a una domanda crescente dal Sud del mondo, che reclama giustizia in varie forme. Ci ritroviamo a schierarci come sviluppare una linea d’azione, di intervento, di politica, di economia, di cultura, di civiltà che possa fornire delle risposte. Oggi , posti di fronte alle cifre e alle percentuali che compendiano la crisi ecologica e la minaccia di catastrofe ambientale- tra 50 anni il clima non ci sarà più vivibile. Diventa forte la tentazione di intervenire con progetti di riforestazioni oppure di amministrazione accurata dell’acqua potabile, o ancora con progetti di ripristino di una condizione di maggior equilibrio con la natura quali restituire ai fiumi il loro alvei più liberi dal cemento, oppure con programmi di riduzione del traffico  e dell’ampiezza di alcune strade troppo larghe. Eppure, anche la ricerca di programmi per governare in qualche modo una certa riappacificazione con la natura, il più delle volte finisce con il sospingere in avanti questa spirale di sviluppo. In altre parole, la pace con la natura si risolve alla fine con la promozione della costruzione di filtri, depuratori, ecc…Per rendere governabile la crisi ecologica, per rimandare il pagamento del conto che abbiamo in sospeso con la natura, si fa ricorso dunque a nuove tecnologia ed a un ulteriore perfezionamento tecnico. Se si guarda più a fondo a quanto emerge dai dati relativi alla crisi ecologica, la cosa più importante da fare e probabilmente il non fare, cioè passare complessivamente da un modello di espansione verso un altro di contrazione. Sostenere che le civiltà altamente sviluppate, quelle ad alto consumo di materiali, di enegia, di suolo, di biosfera, dovrebbero passare ad una fase di maggior contrazione, e proporre tale prospettiva come linea di azione. Porre al centro della nostra riflessione la ricerca di quei settori ed esperti della vita in cui tutti noi si riesca a passare concretamente da una logica del PIU’ a una logica del MENO. Un passaggio non facile per la nostra forma mentis. Noi siamo abituati a considerare gli indici di crescita e di progresso come segnali di miglioramento del benessere e oggi, non c’è amministrazione che non misuri in qualche modo l’impatto della propria azione con gli indici di crescita ed espansione quantitativa. Si deve cercare un ideale di pace fra gli uomini e la natura, e ribaltare quella impostazione, riconoscendo che l’obiettivo è la autolimitazione ed in particolare l’autolimitazione dei danni, ma più in generale delle nostre civiltà e specialmente di quella industriale del Nord, e pretendere di trasformare la scelta ideale dell’autolimitazione in una linea politica e di azione. Ovviamente una politica di autolimitazione e di contrazione si scontra subito con un ostacolo, quello del consenso. Per autolimitazione si deve intendere un atteggiamento meno predatorio, meno vorace nei confronti della biosfera. Un esempio, Il modello agroalimentare industriale sta sottoponendo il pianeta a un forte stress, con un consumo di risorse naturali e di suolo senza precedenti. Il report Climate Change and Land ha affrontato le questioni relative alla sicurezza alimentare e alla gestione sostenibile del territorio, evidenziando come il sistema globale sia responsabile del 23-30% delle emissioni antropiche di gas serra. Dal 1960 a oggi il consumo di carne è raddoppiato, quello di calorie pro capite è aumentato di circa un terzo e l’uso di fertilizzanti di nove volte. Diventa necessario raggiungere la consapevolezza che ogni nostra piccola scelta lascia la sua impronta, a volte più profonda di quanto non pensiamo.

L’autolimitazione richiede un cambiamento di logica, di atteggiamento dentro noi. In altre parole è una scelta più difficile, ed è poi ancor più difficile trasformarla in consenso politico e democratico.. In realtà un buon bilancio pubblico oggi dovrebbe essere giudicato non sulla base dei soldi in più che riesce ad investire, ma sui danni in meno che concretamente riesce a dimostrare di provocare.  Sembra farsi strada una scelta etica. Di sicuro una scelta etica non può accettare un atteggiamento predatorio non solo nei confronti dei “prossimi”, ma anche per le future generazioni. Sempre più persone si accorgono che la linea della crescita materiale ha talmente aumentato e moltiplicato anche le forme di dipendenza, di non autonomia, di alienazione , di rinunce a essere se stessi. L’autonomia di saper cercare la verità, della capacità di sviluppare molte e diverse forme di relazioni e adattamento al mondo rispetto a quelle a senso unico e predeterminate che ci disegnano le vie finora seguite dallo sviluppo. E’ possibile allora che almeno nel Nord del mondo, forse anche il Sud, ci si trovi in una fase in cui diventa difficile individuare degli ideali, delle forze motrici che delle possibili visioni del mondo che motivino che aiutino  a intravedere un cambiamento possibile ed aiutino poi anche a provocarlo. Qualsiasi processo di contrazione va incontro e provoca quindi grandi difficoltà (contrazione o dilatazione delle industrie delle armi? Contrazione o dilatazione dell’ industria delle pellicce?). Perciò uno dei grandi interrogativi attuali riguarda la strada da seguire per arrivare a forme di atterraggio morbido nell’uscire dalla traiettoria dominante. Si fa molta politica però non si è mai minimamente preso in considerazione il fatto di ridurre i propri consumi energetici e di lavorare in questa direzione. Credo che la questione dei consumi dia un aspetto centrale se vogliamo affrontare seriamente il problema della contrazione, senza viverla come autoflagellazione, ma per viverla come un passaggio anche ad un ‘attività diversa, migliore. Vivere meglio con meno come una scelta non ideologica ma anche molto sperimentale nella pratica. La paura deve essere trasformata in un discorso di razionalità, cioè di adattamento dei mezzi ai fini. Dobbiamo chiederci allora qual è il fine, cosa vogliamo. Come diceva Langer ci sono due tipi di razionalità nella società. C’è una razionalità di pochi, cioè di coloro che sono felici di vedere felici gli altri, perché hanno un desiderio di bene universale.  E’ una razionalità che li porta quindi a sacrificare se stessi per vedere contenti gli altri. Questa è una razionalità di pochi ed è difficile fare politica con pochi. Dobbiamo fare il possibile perché crescano di numero. Oggi il tempo non c’è lo permette. La crisi ecologica e climatica si sta coinvolgendo tutti. Per questa ragione Dobbiamo pretendere con effetto immediato di trattare l’ecocidio – l’atto di distruggere, danneggiare o sottoporre a insostenibile sfruttamento gli ecosistemi - come reato, da giudicare presso il Tribunale penale internazionale. Quando nella razionalità comune c’è il desiderio di bene per i figli, e quanto di comprende che il mio agire di oggi compromette il futuro dei nostri figli, allora l’autolimitazione comincia già ad avere un senso anche per la razionalità comune. Questa presa di coscienza porterà benessere e gioia perché l’autolimitarsi permetterà di far continuare ad esistere il mondo e le future generazioni. Oggi i tempi sono maturi ed è possibile portare nella carta costituzionale  la difesa dell’ambiente e il ripristino dell’equilibrio ecologico come valore fondamentale.

Luciano fabris

Riferimenti: Wolfgan Sachs, Codirettore della risvista “Development”. Ricercatore sulla storia dello sviluppo al Università di Essen, Germania. In italia è uscito “Archeologia dello sviluppo” (Macro Edizioni)

Alexander Langer, italiano di madre lingua tedesca, intellettuale,nonviolento, ecologista, europarlamentare, scrittore, portatore di speranza.

Jiddu Krishnamurti maestro spirituale, interessato all’umanità intera. Non si è mai schierato con nessuna scuoola di pensiero, preferendo concentrarsi sulla condizione di essere umano nella sua globalità.


   
RispondiCitazione
Luciano fabris
(@luciano-fabris)
Active Member Registered
Registrato: 2 anni fa
Post: 7
 

   Siamo di fronte a un bivio. Da un lato la strada conosciuta, quella di cui possediamo le mappe satellitari ma della quale comprendiamo che la destinazione finale è ormai incerta, instabile, insostenibile. Dall’altro, la strada nuova che è tutta da segnare, tracciare e costruire. Non sappiamo se nel percorso troveremo punti d’appoggio, o quanto distante è la destinazione finale, ma sappiamo che è l’unica via da intraprendere, per quanto incerta, così è per la galassia radicale ,faticosa o piena di insidie. È la via del dar corpo alle relazioni che si fondano sulla sostenibilità dell’essere umano e sulla circolarità dell’economia imperniata sul “dare per ricevere” e non più sul “dare per avere”.
Il bivio è di fronte a noi, in quella strada a senso unico che è la vita, che marcia solo in avanti perché indietro non si può tornare. Ed è una strada sempre più affollata da milioni, miliardi di persone in tutto il pianeta. Tutti che corrono, sempre più velocemente, consumando e inquinando.In questo contesto corriamo anche noi, il più delle volte in-consapevolmente, che gira e rigira ma che sta sempre lì, chiusa dentro la gabbia, del proprio movimento del proprio partito o associazione, sempre ferma nello stesso posto.La nostra gabbia si chiama globalizzazione. La si può chiamare, per le sue regole e per le sue infrastrutture, anche economia estrattiva. Nella nostra visione, crediamo sia più corretto definirla “ego-nomia”. È l’egonomia, del lucro e del profitto, funzionale a sé stessi. Disinteressata, distaccata e distratta da ciò e da chi ci sta attorno: il territorio, il pianeta, le persone. È l’egonomia della crescita continua, delle performance a prescindere e dell’incremento infinito dando per scontato che le risorse siano infinite. È l’egonomia che ci ha portato alla “Supersocietà” .
È l’egonomia che, solo oggi, si è accorta del discorso sulla “sostenibilità”. Non sappiamo ancora se per consapevolezza, per convenienza o per costrizione. Siamo arrivati tardi (gli effetti del 2030 sono già crudelmente dentro i nostri giorni, dalla pandemia, alla guerra, alla siccità…) a impegnarci per un qualcosa che conoscevamo da lungo tempo; ma abbiamo fatto finta di niente, finché gli effetti non si sono visti improvvisamente e concretamente. Ma, anche qui, rischiamo di sbagliare l’obiettivo e di guardare in maniera distorta, sfocatastrabica ciò che sta accadendo all’umanità.
Per la sostenibilità dell’essere umano: l’alleanza con le giovani generazioni
«A essere in pericolo è l’essere umano, non il pianeta. Il pianeta si salva da solo» disse Walter Ganapini alla Giornata della Generatività sociale di Padova nel novembre del 2019. Questa frase, molto netta e precisa, costringe a cambiare le lenti con cui si guarda l’evoluzione eco-sistemica del mondo.

È una frase che interroga la nostra vita, in ogni istante, sapendo che ogni comportamento (attivo o passivo) incide nei fenomeni economici, ecologici e sociali immediati, prossimi e venturi. Ognuno di noi è produttore di un “effetto farfalla”, di un “effetto relazionale”, in ogni istante. E noi siamo il frutto delle nostre relazioni del passato.

Uniamoci in questo cammino.


   
RispondiCitazione
Pier Paolo Segneri
(@pier-paolo-segneri)
Trusted Member Registered
Registrato: 2 anni fa
Post: 47
 

@luciano-fabris

Per questo Natale vorrei sospendere i giudizi. Non il giudizio, attenzione, perché “mettere giudizio” è un concetto ben diverso da quello di “dare giudizi” a destra e a manca. 

Infatti, secondo me, la fragilità delle persone (purtroppo!), e lo vado ormai constatando da tempo, è arrivata a un punto tale da mostrare tutta la debolezza umana e si disperde così gran parte della forza. La forza si disperde nel vuoto esistenziale e la solitudine ci spinge verso la massa.

La nostra società è diventata tutta una gara a dare giudizi sugli altri e nei confronti degli altri. Meglio se sono giudizi negativi. Ancora di più se sono pregiudizi. 

“Quello ha sbagliato per questo e quest’altro motivo”, sentiamo dire. Oppure, noi stessi diciamo: “Quello lì è uno che mi ha deluso profondamente perché ha fatto o non ha fatto quello che mi aspettavo”. È avanti così: “Da quello - invece - mi sarei aspettato un comportamento diverso”. E via di questo passo: tu sbagli, fai male a pensare così, fai male a dire questo, è un errore fare come fai tu, non mi aspettavo questo da te, mi sarei aspettato ben altro da te, ecc. ecc. Vediamo la malafede ovunque e in chiunque. Anche quando non c’è malafede.

Non a caso, se una persona non si fa sentire pensiamo che sia maleducata o che non sia interessata. Invece, magari, è l’esatto opposto. Chi ti pensa non smette mai di ‘sentirti’ dentro di sé. Oppure, non consideriamo che - magari - quella persona non si fa viva perché sta male o è presa da altri guai, oppure è in lotta con la vita e, forse, è in corsa per la sopravvivenza o in fuga dalla realtà... ma che cosa ne sappiamo noi? 

Guardiamo gli altri con i nostri occhi e non con i loro. 

Sono sempre gli altri a doversi adattare a noi, sono gli altri che sbagliano perché dovrebbero assomigliarci, dovrebbero fare come faremmo noi. Invece, per fortuna, gli altri sono diversi da noi. Gli altri sono unici e agiscono secondo la loro unicità. 

Giudichiamo gli altri secondo i nostri parametri e i nostri valori, con i nostri occhi, secondo una morale conformista o secondo l’etica religiosa o la nostra ideologia o misuriamo gli altri secondo il metro della quantità e non della qualità. Ed ecco che scattano i giudizi verso gli altri, finanche i pregiudizi. Insomma, gli altri sono divenuti tutti imputati del nostro personale Tribunale dll’Inquisizione: se fai questo, allora significa che sei così... e io ti condanno! Se non fai quest’altro, vuol dire che non mi vuoi bene o che non t’interessa niente di me.... e io ti condanno!

“Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Lo abbiamo dimenticato. Soprattutto sui social network.

Siamo diventati tutti giudici. Ma degli altri. E noi siamo gli unici esseri perfetti, tanto perfetti da sapere sempre (spesso in anticipo) che cosa pensano gli altri, che cosa dovrebbero fare gli altri, dove sbagliano e dove fanno bene, come dovrebbero agire, quali sono i loro pensieri sbagliati e che cosa dovrebbero pensare. 

Giudichiamo negativamente gli altri per non dover fare i conti con noi stessi. Questo è il dubbio che mi viene.

È più facile scaricare pesanti giudizi sugli altri. Ma sono pochi quelli che si mettono nei panni dell’altro, che cercano di capire, che provano a comprendere, che non si fermano alle apparenze, che non giudicano le intenzioni, che non giudicano un articolo dal titolo e nemmeno un libro dalla copertina. In troppi condanniamo gli altri perché non hanno fatto quello che avrebbero dovuto o potuto fare e non sono stati come avremmo desiderato noi. 

Leggiamo indifferenza dove - invece - c’è dolore; vediamo disinteresse dove c’è amore; consideriamo una mancanza come se fosse sempre un errore, invece che vederne un desiderio, una presenza, una preghiera.

Ma come facciamo a giudicare così facilmente gli altri? Forse perché non vediamo gli altri, ma vediamo sempre e soltanto noi stessi. Siamo come ciechi. Siamo sempre davanti a uno specchio e non percepiamo l’altro, non lo capiamo, non lo comprendiamo. Lo giudichiamo e basta. Invece, dovremmo amarlo. L’altro va amato. L’altro siamo noi.

Per questo Natale, insomma, vorrei che ciascuno sospendesse i propri giudizi per rispettare, invece, le diverse sensibilità e comprendere così le diversità di ciascuno. 

In altre parole, vorrei dire che, a mio parere, tre sono le cose che contano nella vita: amare, amarsi ed essere amati.

Quando c’è la salute!

Auguri a Tutti! ❤️🌹


   
RispondiCitazione
Dario Boilini
(@dariob)
New Member Registered
Registrato: 2 anni fa
Post: 2
 

@luciano-fabris 

Leggo e mi domando se la globalizzazione sia la patologia o l'obiettivo di una situazione naturale senza barriere, senza confini (che sono frutto di nazionalismi e razzismi ) da completare rendendo nel mondo omogenei e disponibili a tutti i principi di democrazia, libertà, dignità che sono oggi distribuiti e disponibili in modo parziale in alcune parti del mondo?
E la percezione negativa della globalizzazione non è forse dovuta anche alla necessità, al momento irraggiungibile, di governare globalmente una economia globale che trae beneficio dalla esistenza di barriere e nazionalismi?
Anche la riflessione marxiana della necessità di una internazionale socialista dei lavoratori, la prima io credo consapevolezza della globalizzazione economica e della necessità di unione sovranazionale degli interessi dei lavoratori, è stata abbandonata per gli egoismi delle singole comunità regionali o nazionali cieche ad una visione globale.

   
RispondiCitazione
Pier Paolo Segneri
(@pier-paolo-segneri)
Trusted Member Registered
Registrato: 2 anni fa
Post: 47
 

@dariob  Mi ricollego all’intervento di Dario Boilini per riallacciarmi al discorso che abbiamo fatto ieri sera, 5 Gennaio 2023, durante la bellissima e approfondita riunione su Jitsi.

Mi piacerebbe intitolare questa mia riflessione in questo modo: “La Scuola e la Patria europea”, ma non so se vi piace come titolo. Comunque, penso sia pertinente. Anche rispetto al discorso sulla Globalizzazione. Del resto, sono convinto che il tema “Scuola, Università e Ricerca” sia molto di più che un punto programmatico. Anzi, ritengo che rappresenti in punto che riassume tutti gli altri, cioè rappresenta l’essenza della nostra visione politica come “Bellezza Radicale”.
Infatti, lo scontro, ormai secolare e non risolto, tra le spinte nazionaliste e l’idea di un’Europa federale ha peggiorato ancor di più la situazione per il cammino “spinelliano” per gli Stati Uniti d’Europa e ha trovato l’Unione Europea alquanto impreparata di fronte alla grave crisi che si è abbattuta sulle istituzioni, sulla società, sui governi. Ed ecco che sono emersi i sovranismi, ecco che si sono diffusi i populismi.
Prima di andare avanti su questo terreno, però, l’interrogativo a cui bisogna dare una risposta, a mio parere, è il seguente: che cosa intendiamo per “società della conoscenza”?

Prima proviamo a rispondere a questa domanda è, poi, torniamo alla questione europea. In l’articolar modo, al tema “scuola” in un contesto europeo.

L’idea di una “società conoscitiva” è stata inizialmente proposta nel 1996, anno europeo dell’istruzione e della formazione lungo tutto l’arco dell’esistenza, e descritta nel “Libro bianco” elaborato da Édit Cresson e Pàdraig Flynn, attraverso la stesura d’un testo finalizzato a non limitare la conoscenza ai saperi acquisiti e alle nozioni possedute, ma di aprire alla società dell’informazione, dell’informatica, dell’elettronica, dei mezzi di comunicazione, dell’intelligenza, anche sulla spinta della mutazione di un percorso umano che, con le nuove tecnologie, ha condotto e conduce ogni cittadino a non smettere di apprendere e di insegnare per tutta la vita.

L’obiettivo del documento Cresson-flynn è quello di per- mettere all’Europa di giungere a un ampio miglioramento sociale e alla realizzazione sia personale che collettiva dei cittadini.

Oggi, a distanza di oltre due decenni, possiamo ammettere che questo percorso ha avuto dei fallimenti evidenti, soprattutto sul piano sociale, dell’occupazione e del lavoro. Qualcosa non ha funzionato, qualcosa è stato forse dimenticato o sottovalutato nel processo che si sarebbe dovuto affermare. Forse, la moneta e l’economia sono divenute troppo dominanti rispetto a tutti gli altri aspetti che riguardano l’Uomo, l’Umanità, l’essere umano, la politica stessa. Del resto, l’uomo è un animale politico.

Questo parziale fallimento ha determinato evidenti ripercussioni negative sul campo culturale e umanistico. L’idea tecnocratica ha schiacciato l’essere umano portandola alla sofferenza psicologica, al disagio, alle devianze, alla dipendenza da smartphone, ai disturbi alimentari e di vario genere.

Insomma, il “Libro bianco” del 1996 partiva da presupposti giusti e corretti, aveva una visione complessiva e dava una prospettiva per il futuro perché puntava sull’insieme dei saperi organizzati di cui ogni cittadino dispone per muoversi consapevolmente nella società dell’informazione e della comunicazione. Eppure, qualcosa non ha funzionato. Malgrado ciò, si è affacciato in quel momento, per la prima volta, in modo formale e riconosciuto, il concetto di “competenza”. Con i suoi pro e i suoi contro.

Un passo avanti rispetto al passato, ma non abbastanza per il futuro.

Infatti, la scelta del vocabolo “competenza” ha aiutato - finalmente - a evidenziare il passaggio da una conoscenza passiva e inerte a una conoscenza in grado di confrontarsi con le sfide dell’evoluzione sociale ed economica. Anche se, è meglio ricordarlo, al centro dell’attenzione non vi era soltanto il sistema scolastico quanto, piuttosto, tutto un sistema più ampio e variegato che riguardava una prospettiva di processo educativo permanente e ricorrente. Per tutta la vita e giorno per giorno. Punto ripreso anche nell’articolo 4 dell’Agemda 2030 dell’ONU.

Non a caso, in una visione europea, di apertura dei confini, di libera circolazione delle idee e dei cittadini, negli ultimi venticinque anni, gradualmente, si è posta l’esigenza di avere un quadro di competenze unitario tra i diversi sistemi scolastici e tra i molteplici sistemi di accertamento e di certificazione di tali competenze. Si voleva un quadro che fosse comune ai diversi Paesi della Comunità Europea. Una Scuola europea, insomma.

Anche in questo passaggio, comunque, come è inevitabile che sia, vi sono stati finora successi e sconfitte, sono emersi elementi positivi e altri negativi e, a tutt’oggi, ciascuno interpreta la questione in modo differente ponendo distinguo e correzioni, evidenziando criticità e disfunzioni. La discussione è ancora tutta aperta.

 

Gli approcci scolastici utilizzati e proposti in ambito europeo, infatti, sono un argomento di enorme attualità e oggetto di dibattito quotidiano, ma non abbastanza diffuso, non conosciuto dai cittadini, non pubblicizzato a sufficienza e vengono affrontati nella forma e nella sostanza soltanto dagli addetti ai lavori, da alcuni intellettuali e da sociologi, politici, esperti. È un dibattito di nicchia. Molto ristretto, seppur intenso.

A tal proposito, è forse utile ricordare che la “società della conoscenza” è rientrata a pieno titolo nella Strategia di Lisbona, che è al centro del dibattito europeo da quando, nel 2000, il Consiglio d’Europa si riunì nella capi- tale portoghese per stabilire alcuni parametri, obiettivi, modalità per il futuro del Continente.

In questi ultimi tre lustri e oltre, diciamo dal duemila ai giorni nostri, l’idea di una “società della conoscenza” ha occupato le priorità della Comunità Europea riguardanti i piani e i programmi di sviluppo.

Eppure, si è trattato di un dibattito rimasto troppo sconosciuto ai cittadini.

L’Unione Europea, infatti, si era data come obiettivo prioritario quello di portare il nostro Continente, entro il 2010, a essere l’area del mondo più avanzata sul piano della conoscenza, trasformandosi, quindi, in una “knowledge based society”, una società basata sulla conoscenza. Siamo ancora lontani.

In questo scenario emerge sempre più evidente la necessità di un approccio diverso in cui i modelli formativi classici, che pure mantengono la loro validità per alcuni e importanti aspetti, riescano finalmente a evolvere verso processi di acquisizione che possiamo definire di know-how, cioè riguardanti il connotato stesso della conoscenza, in cui tutte le componenti coinvolte, da quelle tecnologiche a quelle pedagogiche, da quelle organizzative a quelle editoriali, da quelle logistiche a quelle culturali, siano organizzate secondo nuovi paradigmi. Caratteristica peculiare di Lisbona è il fatto che, per la prima volta, i temi della conoscenza sono individuati come ineludibili e fondamentali per il cambiamento proposto nel 1996, pur essendo raccolti in un testo che ancora si concentra troppo su settori che riguardano soprattutto l’economia.
Il documento di Lisbona 2000, infatti, si occupa di innovazione e imprenditorialità, riforma del welfare e inclusione sociale, capitale umano e riqualificazione del lavoro, uguali opportunità per il lavoro femminile, liberalizzazione dei mercati del lavoro e dei prodotti, sviluppo sostenibile.

Si sono sviluppate, inevitabilmente, da quel momento, una serie di resistenze al progetto. Si tratta di critiche avanzate per sostenere come, tale strategia, sia caratterizzata da obiettivi che, seppur condivisibili nel merito, appartengano perlopiù alla sfera delle decisioni nazionali. Quindi, al sovranismo serpeggiante negli Stati nazione.

Si riapre così il vecchio conflitto sulla sovranità degli Stati, sulla cessione o non cessione di alcune sovranità, sui limiti dell’Europa nelle decisioni che riguardano la specificità delle diverse nazioni e sulla visione federalista di costruzione della Patria europea. Si può pensare a un’idea complessiva della Scuola che sia capace di avere una visione europea e non regionalista o nazionalista?

Secondo i critici e secondo questa concezione conservatrice che polemizza sui punti espressi nel documento di Lisbona, l’Unione europea non avrebbe o non dovrebbe avere competenza su questi temi e, a maggior ragione, non ha o non dovrebbe avere poteri d’intervento sugli Stati nazionali. Almeno sul tema della scuola, dell’università, della ricerca. Come Bellezza Radicale, a mio parere, dovremmo proporre un’idea europea di Scuola. Una Riforma che coinvolga l’Unione europea. Intanto sul piano del dibattito politico.

Che cosa ne pensate?


   
RispondiCitazione
Paola Cossu
(@paola-cossu)
Trusted Member Registered
Registrato: 2 anni fa
Post: 63
 

@pier-paolo-segneri penso che come sempre tu abbia centrato il punto che preoccupa Bellezza Radicale!La riforma dell istruzione deve essere concepita in chiave Europea.Hai toccato molti punti, quindi mi darò un po’ di tempo per Rileggere e rispondere❤️👏


   
RispondiCitazione
Condividi: