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Le parole per dirlo

(@beatricepizzini)
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"L'Enrico IV (di Pirandello) rappresenta il paradigma affascinante e terribile della normalità nella follia o del suo contrario... non esiste la realtà condivisa, è soltanto un inganno più o meno consapevole. Ognuno di noi galleggia nella propria bolla di convinzioni, credenze e riti, con un corredo di esperienze e ricordi sui quali ha costruito non soltanto il proprio presente, ma la propria identità… Che però potrebbe essere fasulla, come tutto il resto. Quella stravagante intelligenza di scrittore era attratta forse più che dalla psicanalisi, dalla vera e propria psichiatria, più che dalla nevrosi, dalla psicosi, in una parola dalla follia. Non soltanto quella dei matti, ma quella che riposa in ognuno di noi" (da "Il tessitore (Nero Rizzoli) 


   
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Pier Paolo Segneri
(@pier-paolo-segneri)
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Registrato: 2 anni fa
Post: 47
 

@beatricepizzini Bellissimo il tuo intervento! Mi hai fatto riflettere. Molto. Mi hai fatto pensare alla follia, all’amore e alla follia come guida dell’amore. Mi hai fatto pensare a Luigi Pirandello e al teatro.

Il teatro è convenzione, infatti dietro il sipario o sul proscenio ciò che è finto risulta più vero del vero. Il cinema è immaginazione, infatti tutto quello che sul grande schermo, invece di essere mostrato con le immagini, viene detto con le parole o nelle battute degli attori, per lo spettatore è perso.

La televisione è sempre manipolazione, infatti tutto ciò che appare come vero è soltanto un allestimento del verosimile. In tv, ciò che appare come realtà è, invece, sempre l’arbitrio di una inquadratura, l’effetto di un trucco, il risultato di un montaggio, il gioco delle luci in studio, l’assemblaggio di diverse scelte tecniche, lo sguardo di un regista, la lettura personale di un ospite, la particolare struttura di un format, il modo di confezionare la scaletta degli interventi, le pause pubblicitarie, l’interpretazione del conduttore, il tempo e il ritmo televisivo, una scelta degli autori, il punto di vista dell’editore di riferimento, ecc. Oggi, la politica italiana non è teatrale, non è cinematografica, è televisiva. E il potere per il potere è, soprattutto, il “quarto potere” della tv.

Ma se si conosce il tiranno, lo si può tentare di battere politicamente. E il tiranno non è la tv e non è neppure una persona o il potente di turno, ma è un sistema, un meccanismo, un ingranaggio, un circuito chiuso. Si può, quindi, ciascuno nel proprio piccolo o grande che sia, provocare un corto circuito nel sistema. Ma come? Partiamo da un presupposto: ciascuno di noi, per poter realizzare umanamente e professionalmente un obiettivo, ha bisogno di avere - nella propria bisaccia - tre tesori: verità, urgenza e talento. Ma non sono forze statiche, non sono proprietà fisse o stabili, non sono tesori dati una volta e per sempre. Si tratta di forze in movimento, sono virtù liberali, sono energie che vanno e vengono, a seconda del periodo che si vive, della situazione che si incontra, della realtà che si impone. Infatti, tutte e tre questi beni umani e non materiali dipendono sia da fattori interiori che esterni. Se manca anche soltanto una di queste tre virtù, allora si finisce con il mancare l’obiettivo che ci si era prefissati.

La prima forza, cioè la verità, con la “v” rigorosamente scritta in minuscolo, è il coraggio di mostrarsi agli altri per quello che si è, sia nei pregi che nei difetti, sia nella solidità del carattere che nelle debolezze personali. Si tratta, cioè, di essere veri, sinceri, trasparenti. Di esserlo e di sembrarlo, direbbe Indro Montanelli.

Ma la ricerca del vero, a cui faccio riferimento, necessita soprattutto di lealtà e di onestà intellettuale, oltre che morale. Lo ammetto: l’impresa non è facile, anzi. Tale verità può essere o diventare una parete impervia per chiunque ed apparire ai più come inaccessibile, invalicabile, troppo rischiosa. Insomma, molti potrebbero dire che il gioco non vale la candela. Oppure, potrebbe esserci il riflesso contrario: quello di vedere l’espressione di una verità come una cosa altamente risibile, così da circoscriverla in un angolo, così da poterla sminuire e banalizzare facendola apparire come l’atto estremo di un ingenuo, di uno sciocco, di un cretino.

La forza delle verità, al plurale, cioè il diritto umano alla conoscenza delle verità, può mostrarsi ai nostri occhi soprattutto attraverso la televisione, cioè proprio lì dove - per paradosso - domina il regno dell’inganno, del verosimile, della manipolazione, dell’artificio, delle maschere partitocratiche. Insomma, ci vorrebbe un po’ di verità umana e politica capace di mostrarsi, in modo onesto e trasparente, davanti alle telecamere. Bisognerebbe rispondere, con la forza della e delle verità, all’oppressione dell’attuale Potere telecratico, sostenuto da un sistema illiberale e anti-stato di diritto. Un sistema che disinforma e disorienta con i suoi telegiornali e i soliti approfondimenti.

Una tv che non produce programmi o trasmissioni, non confeziona talk-show o reality, non sperimenta, non ospita politici o giornalisti, ma costruisce rappresentazioni false della realtà facendo credere al pubblico che quella che si sta vedendo e ascoltando sia davvero la realtà. Quando, invece, è soltanto un meccanismo del verosimile. Dunque, la tv non è come il teatro dove si assiste, per convenzione, ad una messa in scena dichiarata, anche se gli attori sono presenti in carne ed ossa e, dunque, sono reali. Non è come per il cinema o come per i film, dove la finzione è esplicita malgrado l’impatto realistico delle immagini.

Il pubblico televisivo non è stupido, semplicemente viene ingannato da una rappresentazione della realtà spacciata all’esterno come realtà vera. Ed invece è, al più, una rappresentazione abilmente menzognera, bugiarda, falsa, ipocrita e mistificatrice. La verità di cui parlo, insomma, coincide con l’empatia, con la propria forza empatica. Le persone che indossano maschere per ogni bisogno, che ingannano loro stessi e gli altri, che non sono vere, tutte queste persone mancano di empatia e sono fasulle o, addirittura, antipatiche. Ma bisogna parlare anche della seconda delle tre virtù di cui ho accennato all’inizio. Mi riferisco all’urgenza: cioè alla spinta interiore oppure esterna che ci viene in soccorso quando dobbiamo sostenere con più forza e vigore una nostra scelta e quando essa richiede la necessità di trasformarsi in azione.

L’urgenza è il motivo o la motivazione che ci fa mettere in gioco direttamente e perciò non va mai confusa con la fretta, che è tutta un’altra cosa. Infine, forse per ultimo, viene il talento: è la predisposizione che si ha per un ruolo piuttosto che per un altro, per una materia invece che per l’altra. E’ l’attitudine per un’arte o per una scienza o per una missione. Ad esempio: l’abilità manuale degli artigiani è un talento, saper scrivere o raccontare è un talento, saper disegnare o dipingere è un altro talento ancora.

Ma - purtroppo -in Italia, chi avrebbe la responsabilità di scoprire questo o quel talento non è in grado di capire dove esso si trovi. Se non si è capaci di riconoscere un talento quando lo si vede o lo si incontra, se non si sa svolgere questo compito o, peggio, ci si muove per schiacciare, per soffocare, per bloccare il talento fino a farlo fuggire… beh, allora tutto viene vanificato. Ecco, queste persone predisposte a valorizzare o a riconoscere i meriti e il talento, visto e considerato che occupano posti di rilievo e di privilegio, appurato ormai che non sono in grado di fare il loro mestiere, potrebbero farci gentilmente la cortesia di andare a casa o di occuparsi di altro.

Ecco anche perché è nata Bellezza Radicale. Per riconoscere gli altri e riconoscere il talento altrui. Bravissima Beatrice. È la follia che riposa dentro ciascuno di noi a farci amare la libertà.


   
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