Per i suoi concittadini era il “leone teramano”, per Francesco De Gregori il “signor Hood”, per Pasolini “paziente come un santo”. Tutto giusto, ma per noi tutti (radicali e non) era semplicemente Marco.
Il 19 maggio del 2016 passava ad “altra” vita Giacinto Pannella detto Marco. E non vi state apprestando a leggere il solito ricordo, un po’ patetico, tipico di un’italianità che, da italiano, mi è sempre piaciuta poco…
Ho conosciuto Pannella di sfuggita, poco, durante un congresso radicale a Chianciano. E non starò qui ad elencare le mille battaglie, provocazioni, scioperi della fame e della sete, lotte per i diritti civili…no, questa è ormai storia, o meglio Storia della Repubblica italiana. Non leggerete di aborto e divorzio, obiezione di coscienza, referendum, lotta alla fame del mondo, moratoria mondiale contro la pena di morte, sostegno al Tibet…tutta Storia del nostro paese che (lo dico per esperienza) non sempre trova spazio nei libri di testo scolastici.
Oggi è 19 maggio e la data è alquanto singolare: di 19 maggio del 2016 è mancato il nostro Marco, ma di 19 maggio, seppur del 1296, veniva a mancare anche papa Celestino V. Non sono matto (o forse sì, boh…chi può dirlo?!), ma cosa accomuna due personaggi così distanti nel tempo? Cosa potranno mai avere da (con)dividere “colui che fece per viltade il gran rifiuto (Dante, Inferno, Canto III, vv. 58-60) e l’“uomo ispirato dal perenne rifiuto passivo (E. Montale, Corriere della Sera – ottobre 1974)”? Quella parola: rifiuto! Certo declinato, per ovvi motivi temporali e di contesto, in forme diverse: il buon Pietro Da Morrone, probabilmente disgustato dalla vergognosa corruzione della Chiesa romana del tempo (e pressato, più o meno direttamente, da una “volpe/leone/cane” come il mancato (ma poi futuro) pontefice Bonifacio VIII) abbandonò la massima carica cristiana e, deluso e sconfitto, si ritirò “forzatamente” in preghiera ascetica fino alla morte; il nostro Marco, dinanzi alla corruzione clericale, civile, morale e, soprattutto, politica degli ultimi 50 anni della nostra storia non ha abbandonato, invece, un bel niente. Il suo rifiuto non era sconfitta, ma vitalità; non era abbandono, ma “esserci”, “starci” senza accettare, però, le regole del gioco partitocratico, della lottizzazione, della corruzione. Con un’arma in più: provare a cambiarle in nome del diritto e con l’arma del diritto, per “il diritto alla vita e per la vita al diritto”, obbligando spesso e volentieri col solo strumento nonviolento a disposizione (il suo corpo, poiché le sue “due pistole erano caricate a salve”) al rispetto delle leggi da parte dello Stato, leggi che lo stesso Stato, ancora oggi, si dava e che per primo non rispettava. Ostinato, testardo, provocatorio, bislacco, logorroico (almeno “per i sordi”), quasi sempre inascoltato (ma profetico), offeso, insultato, denigrato…lui c’era e continuava a esserci. Per gli ultimi fra gli ultimi: carcerati, prostitute, tossicodipendenti, diseredati, emarginati, “espulsi” dalla società. Il rifiuto di Pannella si tramutava spesso in speranza, in essere speranza, farsi speranza e non solamente avere speranza, che è fin troppo facile e a buon prezzo; significava digiunare per mesi, imbavagliarsi per ottenere spazi mediatici secondo legge, autodenunciarsi per (ri)sollevare un’opinione pubblica anestetizzata da tv e salotti (che tremavano ad un’eventuale presenza di Pannella) su temi che toccavano, e toccano, la vita di tutti, dentro e fuori le mura domestiche. Questo, in estrema sintesi, era Marco Pannella. Questo oggi voglio ricordare di lui: i suoi rifiuti che paradossalmente si sublimavano in amore per la vita, senza perbenismi e moralismi. Cosa ci rimane di lui e del suo (nostro?) patrimonio politico? Oggi, e non solo oggi, la sua “bellezza radicale”, per la quale ancora si lotta, si animano le piazze, si raccolgono firme, ci si autodenuncia, si disobbedisce civilmente e “si calpestano aiuole nuove”, torna a punzecchiarci, a tirarci bonariamente le orecchie affinchè si costruiscano insieme “canestri di parole nuove”.
A subito!
Claudio Marengo