Quale diritto, quali leggi e quali Istituzioni di fronte alle sfide delle società del 21° secolo?
Credo che siano sotto gli occhi di tutti l’inadeguatezza e gli anacronismi delle attuali Istituzioni transnazionali nel governo delle relazioni tra Stati, rispondendo alle sfide della rivoluzione digitale e della globalizzazione: queste ultime anziché essere valorizzate come opportunità per l’affermazione e la difesa dei diritti della persona rischiano di esporre l’umanità a pericoli sempre peggiori.
Gli atroci conflitti che imperversano su tutto il pianeta, le siccità, la fame, le torture, la negazione della laicità, il riscaldamento globale, i diritti delle donne e quelli delle persone LGBTQ+ in buona parte del pianeta, le pandemie che ci sono state e che ci saranno, l’assenza di politiche migratorie in grado di governare con responsabilità un fenomeno che la storia ha sempre vissuto naturalmente, la tutela della privacy dell’individuo di fronte alla pervasività del digitale, richiedono necessariamente il ripensamento non solo delle organizzazioni transnazionali, ma anche di quelle nazionali.
Partiamo dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (O.N.U.). È quasi imbarazzante la sua inutilità. Per molti versi pare inutile tanto quanto lo fu la Società delle Nazioni nel ‘900 per scongiurare la Seconda Guerra Mondiale.
In effetti, l’ONU pare Organizzazione monca di strumenti cogenti in grado di assicurare forza alle sue decisioni e deliberazioni, senza contare il potere di veto di quegli Stati che del rispetto dei diritti umani si fanno gioco.
Occorre per queste ragioni innescare un processo riformatore dell’ONU che sappia dare nuova vita alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, facendo i conti con le urgenze che i nuovi diritti della persona ci pongono innanzi, primo fra tutti il diritto alla conoscenza.
Quando il Sig. Johann Gutenberg, in Germania, nell’anno 1448 inventò la stampa con l’uso di caratteri mobili, diede alla civiltà umana la possibilità di fare passi da gigante rispetto alla diffusione del pensiero e delle idee; impensabile allora con l’utilizzo sempre e solo della scrittura a mano degli amanuensi.
Questa scoperta è stata davvero rivoluzionante per l’Uomo perché ha permesso la condivisione tra un numero sempre maggiore di persone della cultura, che prima era riservata a pochissimi iniziati, quelli che potevano permettersi un educatore o di acquistare i preziosissimi e costosissimi libri scritti a mano.
Internet e, più in generale la rivoluzione digitale che stiamo vivendo corrono velocissime e quasi anticipano con l’intelligenza artificiale lo stesso pensiero umano, esautorando il controllo e il governo della tecnologia da parte della persona.
Da qui l’assunto per cui non è sempre detto che una maggiore potenzialità nella diffusione delle informazioni coincida sempre con la tutela del diritto alla conoscenza da parte dell’individuo; serve perciò un Nuovo Umanesimo Digitale.
Paradossalmente, l’annullamento delle distanze fisiche e l’azzeramento dei costi economici dell’informazione che la rete globale e le sue tecnologie determinano, allontanano sempre di più la persona proprio da quel diritto alla conoscenza che dovrebbe essere alla base di ogni sodalizio umano democratico.
Il senso della verità, con la “v” minuscola naturalmente, viene ostracizzato, occultato e disperso per meglio controllare la società, l’individuo e financo le sue Istituzioni.
Pensare che questi riflessi siano comuni solo nelle società non democratiche è errore rispetto al quale occorre stare in guardia; come dire: se Atene piange, Sparta non ride.
Da una parte, infatti, abbiamo quegli Stati non democratici che rivendicano la loro non democraticità e che fanno strali contro l’Occidente democratico.
Dall’altra parte abbiamo le democrazie occidentali, di derivazione liberale che, partendo dalla Magna Charta inglese, passando dal Bill of Rights statunitense, per arrivare alle moderne democrazie, garantiscono anche in maniera avanzata i diritti umani, ma poi precipitano de facto e non solo, spesso e volentieri, in derive di democrazia reale, partitocratica e perciò antidemocratica.
Dopo questo breve excursus sullo stato dell’arte delle relazioni internazionali, risulta chiaro come Marco Pannella avesse visto giusto: i problemi di una società globalizzata possono essere governati solo da una politica transnazionale!
Partendo da questo assunto la visionaria scelta del Partito radicale nel 1989 appare come la più sensata: la transnazionalità e la transpartiticità quali presupposti ineludibili per una politica a difesa dei diritti umani, reale e non velleitaria.
Già nel Preambolo allo Statuto del Partito radicale è il metodo radicale: “proclama il diritto e la legge, diritto e legge anche politici del Partito Radicale, proclama nel loro rispetto la fonte insuperabile di legittimità delle istituzioni, proclama il dovere alla disobbedienza, alla non-collaborazione, alla obiezione di coscienza, alle supreme forme di lotta nonviolenta per la difesa, con la vita, della vita, del diritto, della legge”.
Roberto Mancuso
12 gennaio 2024